giovedì 1 novembre 2012

Tanta voglia di fare, scrivere, leggere, vivere.


Ho scelto "a tatto" questo insolito titolo per introdurre la mia intervista alla scrittrice Jolanda Buccella. Capita a volte di parlare con una persona e sentire qualche sensazione sulla pelle, magari il calore di un colore forte, ad esempio. Questa impressione mi ha dato Jolanda, giovane autrice con un lungo cammino davanti ma anche molto talento, sebbene da affinare in alcune sfaccettature. 

Quando stringi la mano a una persona, ti presenti dicendo: “Piacere sono …”
Semplicemente Jolanda e quando una persona mi piace istintivamente gli stringo in modo deciso la mano.

Che cosa ti ha portato a intraprendere la carriera di scrittrice?
Definirmi oggi una scrittrice credo che sia una parola grossa, sono semplicemente all’inizio di un percorso che spero mi porti ad affermarmi in modo serio e duraturo nel panorama letterario italiano.  Ho sempre amato scrivere, mi elettrizza l’idea di creare un personaggio dal nulla e vivere la sua vita che è quasi sempre estremamente diversa dalla mia.

Scrivere credi che sia una mestiere, una passione o un passatempo?
Per me è innanzitutto una passione, un istinto naturale come mangiare o dormire. Non nego che sarei felicissima se diventasse un mestiere ma senza forzature, voglio continuare a scrivere perché lo sento dentro, perché ho ancora qualcosa da raccontare ai lettori. Se dovessi accorgermi che sta diventando uno sforzo, allora credo che smetterei.

Sei autrice di Fortuna, il buco delle vite. Di che parla la tua storia?
Fortuna, il buco delle vite è la storia di una quarantenne che per amore del suo compagno,  un affascinante medico ruandese, decide di lasciare l’Italia e di trasferirsi in Ruanda a pochi giorni dall’inizio del genocidio dei Tutsi dell’aprile del 1994. Il destino la porterà a vivere gli ultimi giorni della sua esistenza in una prigione militare dove ripercorrerà il complicato cammino delle sue vite passate. Perché Fortuna non è il suo vero nome, prima ha prestato il suo volto e tutte le sue emozioni ad altre due donne, alla giovane e ingenua J. nata con una malformazione alla colonna vertebrale che tutti, per ignoranza, avevano soprannominato il buco della vita e alla fragile Piccoletta, una barbona costretta a vagare per le strade della Capitale sopportando la fame, il freddo e la disumanità della gente fino all’incontro decisivo con  Nadir. Un uomo intelligente e sensibile che riuscirà nel non facile compito di allontanarla dalla strada e restituirle un posto dignitoso nella società. Tutto il resto non lo posso raccontare, per non togliere al lettore la curiosità di acquistarlo e leggerlo.


Si tratta di un romanzo molto lungo e articolato. In quale personaggio ti rivedi particolarmente? Quale invece è il tuo “preferito”, nel senso che ti ci senti  particolarmente legata?
Effettivamente ho scritto molto, la protagonista della mia storia vive tre vite e ho cercato di raccontarle tutte e tre nel miglior modo possibile dando a ciascun personaggio  della storia un carattere ben delineato per dare modo al lettore di giudicarlo con de criteri giusti. Il mio personaggio preferito è senza alcun dubbio Umberta Prima Rizzutelli, la nonna paterna di Fortuna, perché è una donna forte e indomita che dopo un matrimonio sbagliato riesce a riconquistare la sua libertà e a portare avanti con molta soddisfazione quattro figli pestiferi, una piantagione di pomodori e una bottega. Insomma è una donna di successo,una donna che sa sempre esattamente ciò che vuole , la donna che vorrei diventare anch’io. Il personaggio per il quale provo una particolare affetto, invece, è la piccola J. perché oltre ad avere l’iniziale del mio nome di battesimo le ho anche regalato qualche ricordo della mia bellissima infanzia, vissuta in un piccolo paesino della provincia di Salerno insieme alla mia meravigliosa famiglia d’origine.

Se dovessi fare una critica a te stessa come scrittrice, quale sarebbe?
Non sono mai molto tenera nei miei confronti, penso sempre che avrei potuto fare di meglio e non ho voluto rileggere Fortuna una volta che è stato stampato su carta, perché sicuramente gli avrei trovato mille imperdonabili difetti. Credo che essere autocritici sia un bene, è  uno stimolo per migliorarsi continuamente. Spero di non pronunciare mai una frase del tipo: Questo è senza alcun dubbio il miglior romanzo della mia vita. Perché ho la sensazione che segnerebbe la fine del mio amore per la scrittura, non esiste il romanzo perfetto, si può sempre scrivere di meglio.  Comunque la critica meno crudele che mi faccio è che non riesco proprio ad essere sintetica.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ci sono mille progetti che vorrei realizzare in futuro, per esempio mi piacerebbe che Fortuna diventasse un film per il grande schermo, mi piacerebbe lavorare come editor in una casa editrice e creare una mia collana dedicata all’amore che chiamerei “Fermina” come Fermina Daza la protagonista di uno dei miei romanzi preferiti “L’amore ai tempi del colera” , vorrei aprire una piccola attività commerciale a Milano, la mia città d’adozione, e dare a molte donne che non riescono ad inserirsi nel mondo lavorativo la possibilità di farlo, ma per il momento restano solo sogni. Intanto sto cominciando a scrivere il mio secondo romanzo, sono soltanto all’inizio e non so dove mi porterà, spero soltanto che riesca a coinvolgermi emotivamente quanto il primo.

Consiglieresti di intraprendere la carriera dello scrittore? Quali suggerimenti ti senti di dare?
Si può tentare di intraprendere la carriera dello scrittore, soltanto se alla base si ha un’ottima predisposizione per la scrittura che poi si affina e migliora pubblicazione dopo pubblicazione, altrimenti credo che sia inutile tentare.  Ho ancora poca esperienza in questo mondo, perciò non credo di poter dare dei grandi suggerimenti, l’unica cosa che mi sento di dire è che se si pensa davvero di aver scritto qualcosa di buono, allora non bisogna arrendersi nemmeno di fronte a mille porte sbattute in faccia e tanto meno accettare di pubblicare per case editrici a pagamento che sfruttano i sogni degli aspiranti scrittori soltanto per arricchirsi. Invece una volta che si è riusciti a pubblicare, ci si deve proteggere dai recensori a pagamento. Proprio l’altro giorno una gentile signorina mi ha chiesto 25 euro per scrivere una recensione del mio romanzo, sostenendo che leggere una storia di 592 pagine era un vero e proprio lavoraccio!