giovedì 1 novembre 2012

Tanta voglia di fare, scrivere, leggere, vivere.


Ho scelto "a tatto" questo insolito titolo per introdurre la mia intervista alla scrittrice Jolanda Buccella. Capita a volte di parlare con una persona e sentire qualche sensazione sulla pelle, magari il calore di un colore forte, ad esempio. Questa impressione mi ha dato Jolanda, giovane autrice con un lungo cammino davanti ma anche molto talento, sebbene da affinare in alcune sfaccettature. 

Quando stringi la mano a una persona, ti presenti dicendo: “Piacere sono …”
Semplicemente Jolanda e quando una persona mi piace istintivamente gli stringo in modo deciso la mano.

Che cosa ti ha portato a intraprendere la carriera di scrittrice?
Definirmi oggi una scrittrice credo che sia una parola grossa, sono semplicemente all’inizio di un percorso che spero mi porti ad affermarmi in modo serio e duraturo nel panorama letterario italiano.  Ho sempre amato scrivere, mi elettrizza l’idea di creare un personaggio dal nulla e vivere la sua vita che è quasi sempre estremamente diversa dalla mia.

Scrivere credi che sia una mestiere, una passione o un passatempo?
Per me è innanzitutto una passione, un istinto naturale come mangiare o dormire. Non nego che sarei felicissima se diventasse un mestiere ma senza forzature, voglio continuare a scrivere perché lo sento dentro, perché ho ancora qualcosa da raccontare ai lettori. Se dovessi accorgermi che sta diventando uno sforzo, allora credo che smetterei.

Sei autrice di Fortuna, il buco delle vite. Di che parla la tua storia?
Fortuna, il buco delle vite è la storia di una quarantenne che per amore del suo compagno,  un affascinante medico ruandese, decide di lasciare l’Italia e di trasferirsi in Ruanda a pochi giorni dall’inizio del genocidio dei Tutsi dell’aprile del 1994. Il destino la porterà a vivere gli ultimi giorni della sua esistenza in una prigione militare dove ripercorrerà il complicato cammino delle sue vite passate. Perché Fortuna non è il suo vero nome, prima ha prestato il suo volto e tutte le sue emozioni ad altre due donne, alla giovane e ingenua J. nata con una malformazione alla colonna vertebrale che tutti, per ignoranza, avevano soprannominato il buco della vita e alla fragile Piccoletta, una barbona costretta a vagare per le strade della Capitale sopportando la fame, il freddo e la disumanità della gente fino all’incontro decisivo con  Nadir. Un uomo intelligente e sensibile che riuscirà nel non facile compito di allontanarla dalla strada e restituirle un posto dignitoso nella società. Tutto il resto non lo posso raccontare, per non togliere al lettore la curiosità di acquistarlo e leggerlo.


Si tratta di un romanzo molto lungo e articolato. In quale personaggio ti rivedi particolarmente? Quale invece è il tuo “preferito”, nel senso che ti ci senti  particolarmente legata?
Effettivamente ho scritto molto, la protagonista della mia storia vive tre vite e ho cercato di raccontarle tutte e tre nel miglior modo possibile dando a ciascun personaggio  della storia un carattere ben delineato per dare modo al lettore di giudicarlo con de criteri giusti. Il mio personaggio preferito è senza alcun dubbio Umberta Prima Rizzutelli, la nonna paterna di Fortuna, perché è una donna forte e indomita che dopo un matrimonio sbagliato riesce a riconquistare la sua libertà e a portare avanti con molta soddisfazione quattro figli pestiferi, una piantagione di pomodori e una bottega. Insomma è una donna di successo,una donna che sa sempre esattamente ciò che vuole , la donna che vorrei diventare anch’io. Il personaggio per il quale provo una particolare affetto, invece, è la piccola J. perché oltre ad avere l’iniziale del mio nome di battesimo le ho anche regalato qualche ricordo della mia bellissima infanzia, vissuta in un piccolo paesino della provincia di Salerno insieme alla mia meravigliosa famiglia d’origine.

Se dovessi fare una critica a te stessa come scrittrice, quale sarebbe?
Non sono mai molto tenera nei miei confronti, penso sempre che avrei potuto fare di meglio e non ho voluto rileggere Fortuna una volta che è stato stampato su carta, perché sicuramente gli avrei trovato mille imperdonabili difetti. Credo che essere autocritici sia un bene, è  uno stimolo per migliorarsi continuamente. Spero di non pronunciare mai una frase del tipo: Questo è senza alcun dubbio il miglior romanzo della mia vita. Perché ho la sensazione che segnerebbe la fine del mio amore per la scrittura, non esiste il romanzo perfetto, si può sempre scrivere di meglio.  Comunque la critica meno crudele che mi faccio è che non riesco proprio ad essere sintetica.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ci sono mille progetti che vorrei realizzare in futuro, per esempio mi piacerebbe che Fortuna diventasse un film per il grande schermo, mi piacerebbe lavorare come editor in una casa editrice e creare una mia collana dedicata all’amore che chiamerei “Fermina” come Fermina Daza la protagonista di uno dei miei romanzi preferiti “L’amore ai tempi del colera” , vorrei aprire una piccola attività commerciale a Milano, la mia città d’adozione, e dare a molte donne che non riescono ad inserirsi nel mondo lavorativo la possibilità di farlo, ma per il momento restano solo sogni. Intanto sto cominciando a scrivere il mio secondo romanzo, sono soltanto all’inizio e non so dove mi porterà, spero soltanto che riesca a coinvolgermi emotivamente quanto il primo.

Consiglieresti di intraprendere la carriera dello scrittore? Quali suggerimenti ti senti di dare?
Si può tentare di intraprendere la carriera dello scrittore, soltanto se alla base si ha un’ottima predisposizione per la scrittura che poi si affina e migliora pubblicazione dopo pubblicazione, altrimenti credo che sia inutile tentare.  Ho ancora poca esperienza in questo mondo, perciò non credo di poter dare dei grandi suggerimenti, l’unica cosa che mi sento di dire è che se si pensa davvero di aver scritto qualcosa di buono, allora non bisogna arrendersi nemmeno di fronte a mille porte sbattute in faccia e tanto meno accettare di pubblicare per case editrici a pagamento che sfruttano i sogni degli aspiranti scrittori soltanto per arricchirsi. Invece una volta che si è riusciti a pubblicare, ci si deve proteggere dai recensori a pagamento. Proprio l’altro giorno una gentile signorina mi ha chiesto 25 euro per scrivere una recensione del mio romanzo, sostenendo che leggere una storia di 592 pagine era un vero e proprio lavoraccio! 







giovedì 4 ottobre 2012

Il Mito Della Caverna

Conoscete il mito della caverna di Platone? In soldoni racconta di alcuni uomini prigionieri che si trovavano fin dalla nascita in una caverna legati ad un ceppo col viso rivolto alla parete e vedevano riflesse delle ombre. Fuori dalla caverna passavano degli uomini con dei vasi in testa e loro erano convinti che si trattasse di mostri. Che cosa accadrebbe se uno di loro fosse liberato dalle sue catene?

Ho riportato con qualche ritocco questo bellissimo mito per dare una vaga idea dell'immagine che mi si è delineata in mente mentre intervistavo un giovane uomo, Carlo Cuppini, che in cinque minuti di chiacchierata mi pare mi abbia insegnato molto più di quanto non abbiano fatto in cinquanta ore di lezione i professori all'università. Ho sempre pensato ciò che Carlo ha affermato, ma sentirselo dire con tale schiettezza è stata come una doccia fresca in una giornata d'estate. Carlo Cuppini è un poeta, autore di una raccolta intitolata: La militanza del fiore.



Come si evince anche dalla tua opera, a te piace sperimentare e rompere gli schemi. Qual è stata la prima catena che hai spezzato nella tua vita?

Forse quella del conformismo. Ricordo bene che fin da molto piccolo non potevo soffrivo tutto ciò che sembrava “andare per la maggiore”. Fin dall’asilo. Da adolescente diventai un ribelle – ovviamente, di quelli che non vanno “di moda”. Questo significava passare a volte per un originale, più spesso per un disadattato. Poi da adulto uno smette di farsi condizionare da quel che fanno o non fanno gli altri; oggi mi importa sopra a tutto della libertà: del pensare e del sentire, prima ancora che del fare. La libertà che è un fatto esclusivamente individuale, che però si esercita solo in mezzo alla collettività.

Hai scritto un libro di poesie che s’intitola Militanza del fiore. Perché la poesia e la poesia civile?

Credo che la poesia sia uno strumento di libertà, appunto, una sua sensibile concrezione, ancor prima che un modo di esprimersi. Poiesis in greco vuol dire “fare”. Così andrebbe intesa anche oggi: fare, fare se stessi, fare l’istante presente, fare una cosa concreta, attraverso un preciso atto di creazione. Un piccolo atto di creazione, va bene, non una genesi! Ma la creazione, anche nel gesto più piccolo, implica la responsabilità della libertà – anche libertà dalle proprie idee, dai propri pensieri coscienti. E questo è un fatto civile. La poesia buona è sempre civile. Anche se parla di passerotti. Nelle mie poesie compaiono spesso temi, parole legate all’attualità. Ma non è questo che la rende civile. È civile nella gestualità che mette in campo, una gestualità che agita il corpo della mente e lo spinge oltre i confini del controllo politico e sociale.

Tra le poesie pubblicate nel tuo libro, qual è quella che senti più vicina a te?

Temo di non sapere rispondere. Però ce n’è una che leggo sempre alle presentazioni, si chiama “Cose che accadono eccetera” ed è una specie di frullatore di parole, notizie, pubblicità, cose sentite, cose viste, telegiornali, facce, voci, falsità... tutto il circo mediatico, insomma, che diventa un disperato salto ad ostacoli per trovare un barlume di senso e di umanità. Una disperata corsa contro il tempo, tutta d’un fiato. Contro il nostro tempo.

Credi che nel mondo moderno, così caotico e sempre di corsa, ci sia ancora spazio per la poesia?

Il nostro mondo è la dittatura del linguaggio. Il 90% delle cose che conosciamo, sperimentiamo, discutiamo, condividiamo, interiorizziamo, passano attraverso i media, i dispositivi, il digitale, internet. In altre parole: sono filtrate dai linguaggi e non sono altro che linguaggio. Eppure il nostro è anche il mondo dell’analfabetismo: siamo invogliati e incitati a disimparare ogni tecnica che consenta di decodificare i linguaggi del mondo: ci deve essere sufficiente sapere usare gli oggetti, gli accessori. Soprattutto in Italia: i linguaggi artistici sembrano qualcosa di alieno, non esiste una cultura del contemporaneo, una familiarità con la ricerca, una passione per la sperimentazione. Ascoltare la musica di Bach o di Mozart, confrontandosi con quel tipo di linguaggio non scontato, è già un atto di resistenza. Scrivere una poesia, mettendo in discussione l’inerzia e il conservatorismo opaco delle parole, è una rivoluzione di cui in Italia oggi c’è bisogno.



mercoledì 3 ottobre 2012

Il mondo del Graphic Designer: due chiacchiere con Vanda Pelling

Mi sono trovata qualche tempo fa a rivolgermi ad uno studio grafico per la presentazione del mio libro. Un giorno mi sono incontrata dunque con la graphic designer che avevo scelto e mi è sbucata davanti Vanda Pelling. Ho provato da subito grande empatia con lei e credo che, dalle risposte che mi ha dato alla sua intervista, capirete perché...


Come è nato il pensiero di diventare graphic designer?

Da piccola dicevo sempre che da grande volevo fare la pittrice, crescendo però ho dovuto accettare il fatto di non avere grandi doti di disegno, quindi mi piace pensare che quella del graphic designer sia una versione “aggiornata” di quel sogno dell’infanzia. I miei studi sono abbastanza lontani dal mondo grafico, perché vengo dal campo umanistico, in particolare sto concludendo il percorso magistrale in Scienze dello Spettacolo, ma in qualche modo ho sempre coltivato una passione per l’arte visiva e ho sempre avuto una certa dote creativa, quindi quando un giorno mi sono trovata di fronte alla locandina dell’ILAS di Napoli, ho saputo all’istante che quel diploma sarebbe entrato nel mio curriculum.

Cosa bisogna fare per diventare grafico?

Fare degli “studi” adeguati, corsi, master, scuole di grafica è sicuramente la cosa migliore per crearsi una base tecnica sulla quale poi andare a costruire il proprio stile. Detto questo è anche vero il fatto che se si hanno delle buone idee e una certa manualità con i software di disegno ed elaborazione grafica, avere dei titoli diventa superfluo. Quello della grafica è il dominio dell’esperienza. Vale la regola che più fai e più e meglio sai fare. Chiedendo a chi ne sa di più, sempre con grande umiltà. La cosa importante che mi è sempre stata detta e che io condivido è l’importanza del crearsi un bagaglio visivo e il famoso “occhio”, inteso come modo di organizzare le cose visivamente. Bisogna sempre guardare, informarsi, studiare il lavoro degli altri, riempirsi gli occhi di arte, fotografie, design, qualsiasi cosa, e stare sempre in contatto con ambienti creativi, in modo da immagazzinare quante più tecniche e soluzioni possibili, essere sempre stimolato e crearsi così il bagaglio visivo da rielaborare e da cui attingere nel creare il proprio stile. Come diceva un certo Godard, la tecnica si apprende, le idee no. Per fare il grafico quindi, mi sento di dire e di dirmi che servono occhio e cervello.

Insieme a un tuo collega, stai avviando IGOstudio, uno studio grafico. Quali sono i lavori più divertenti che hai realizzato?

Una delle esperienze più divertenti è stata sicuramente quella del Cavacon2012, nell’ambito del quale abbiamo curato l’allestimento dello stand di un’artigiana creativa con la quale abbiamo anche creato in collaborazione una linea personalizzata di quaderni e agende. E’ stato divertente pensare all’allestimento dello stand, ai manifesti, ai volantini, e cercare soluzioni originali per coinvolgere i visitatori e attirarli allo stand; oltre che i giorni stessi della fiera nella quale abbiamo anche “animato” la parte social con fotografie e caccia al tesoro agguerritissima, sono stati belli anche i frenetici giorni della preparazione e delle riunioni. Poi in generale, mi diverte molto di più progettare qualcosa che verrà stampata piuttosto che componenti web che rimangono nel dominio digitale. Pensare alla forma che avranno, alla componente tattile, mette in moto tutta un’altra serie di scelte creative che rendono bello e vario questo lavoro.

IGOstudio è una realtà molto giovane. Quali sono le difficoltà cui deve far fronte una Start Up come la vostra?

Dando per assodate le difficoltà economiche, che sopratutto nel momento generale che stiamo vivendo, si fanno più pressanti, relativamente all’apertura e ai costi e al mantenimento di un’attività regolarmente registrata, la cosa contro la quale mi ritrovo sempre più spesso a scontrarmi è la mentalità sbagliata, ahimè, particolarmente nel nostro sud. I clienti, le persone in generale, non danno il giusto valore all’atto creativo, sminuendolo continuamente con lotte al ribasso. La creatività, il lavoro intellettuale impiegato per una progettazione grafica è sempre poco considerato rispetto ad un lavoro che invece è “fisicamente” verificabile, come un qualsiasi produttore di oggetti materiali. Non è sempre vero, per fortuna, ma spesso ci si ritrova a fare dei lavoro in un ambiente ostile o comunque poco stimolante, dove il creativo non è valorizzato. Filippica a parte, ritornando alle difficoltà economiche, spesso è anche difficile riuscire a rientrare in iniziative o finanziamenti quali bandi o prestiti d’onore, che finiscono per essere degli specchietti per le allodole. Comunque non ci abbattiamo, anche perché crediamo nella possibilità del cambiamento e sopratutto nelle tante eccellenze del sud che devono solo trovare la giusta strada per uscire allo scoperto. Ad ogni modo io credo nelle mie forze e sopratutto su quelle faccio affidamento.

Il vostro mantra per i momenti difficili?

In effetti non ne abbiamo ancora coniato uno ma mi sento di dire little by little e dividi et impera, ovvero una cosa per volta e divisione dei compiti.

Il vostro mantra per i momenti belli?

Tutti al giapponese per festeggiare! 

domenica 23 settembre 2012

Il mondo in una goccia: Un ebook per lottare: Gabbiani

Il mondo in una goccia: Un ebook per lottare: Gabbiani: Non sono solita parlare dei miei lavori all'interno di questo blog, ma credo che sia ora di raccontare più da vicino le mie esperienze nella...

Un ebook per lottare: Gabbiani

Non sono solita parlare dei miei lavori all'interno di questo blog, ma credo che sia ora di raccontare più da vicino le mie esperienze nella speranza che possano essere utili per qualcuno o più.

Gabbiani non è la prima opera che pubblico, già nel 2010 ha visto la luce il libro cartaceo per ragazzi Il Ragazzo che Corre, edito gratuitamente da un'onesta casa editrice, la Badiglione Editore.

Mentre ero, e sono ancora, impegnata nella promozione del mio libello, ecco che vengo contattata dalla Liant che mi propone un accordo: scrivere per loro con cadenza mensile racconti di 20 pagine da pubblicare in formato ebook.

Tradizionalmente, la maggior parte degli autori cartacei considerano ancora l'ebook un surrogato del libro "vero". In Italia manca per ora in modo solido e diffuso la mentalità del digitale, anche se si stanno facendo dei passi avanti.

Nonostante qualche remora iniziale, quindi, ho scelto di lanciarmi in quest'impresa e il primo racconto che è uscito fuori dal mio cilindro è stato Gabbiani.

Gabbiani è una storia delicata ma, se non lo fosse stata, temo che non l'avrei scritta.

Parla di Milo, un ragazzo di strada napoletano che vive di elemosina e piccoli furti. Milo fa parte con i suoi compagni di un piccolo "giro" che è solo una remota appendice dei veri interessi dei clan.

Tutto sembra essere fatto per restare così com'è in eterno, ma in realtà il ragazzo non accetta dentro di sé quel destino che non ha scelto e la sua voglia di risorgere troverà amicizia e comprensione nel desiderio di riscatto di altre realtà napoletane, realmente esistenti ma poco conosciute, che lo accompagneranno lungo un cammino doloroso e difficile al termine del quale s'intravede la luce della vittoria.

Questo è il mio racconto. Essendo una profana del settore non saprei dire se è un tema troppo "pesante" per un racconto breve che dovrebbe essere letto per passare un po' il tempo in treno. Tuttavia, l'editore non ha posto nessuna obiezione per la pubblicazione.

Una delle cose che mi è stata chiesta quando l'ho scritto è stata: Perchè?

Solitamente trascorro un  bel po' di tempo tra le strade di Napoli e la considero la mia seconda casa. Non potrei dire di conoscerla veramente bene, ma mi piace osservare e un giorno fui colpita da un'immagine: due ragazzini, che potevano avere dodici anni al più, che scendevano le scale della stazione metropolitana di Piazza Cavour. Ciò che mi ha colpita è stato che sui loro visi non c'era più nulla dell'espressione di ragazzi o bambini. Parevano uomini duri e un po' arrabbiati.
Da quel momento ho cominciato a cercarli tra le strade e ne ho trovati tanti come loro. Bambini di nove anni che rompono una bottiglia e minacciano uno studente di venticinque per farsi dare la borsa. Ragazzine con le trecce ma il viso smaliziato che vengono buttate avanti dal padre nel treno per chiedere l'elemosina ai pendolari. Milo era dappertutto e io ho solo dovuto scrivere di lui.

Ma non solo. Perché Napoli è un'infinità di altre cose oltre a questo piccolo universo di baby criminalità.

Visitando le catacombe di San Gennaro extramoenia ho conosciuto le cooperative sociali La Paranza, gli Iron Angels e tanti altri: piccole realtà di giovani che amano la loro città, l'abbelliscono, la spiegano ai turisti e cercano di mantenere in vita quella bella Napoli che sfugge alle cronache giornalistiche.

Ho voluto raccontare un po' di tutto questo e credo che sarebbe stato difficile vedere pubblicato e diffuso questo genere di racconto in formato cartaceo perché non è un tema che "tira" in questo momento e gli editori tradizionali non sono nelle condizioni economiche necessarie per rischiare un triplo salto nel vuoto (parlo, ovviamente, in generale).

Torniamo quindi all'ebook.

Gabbiani si può acquistare online, ovviamente, sul sito www.liant.it al costo di 1,90 euro. Nella sezione Catalogo ci sono tutti i racconti finora pubblicati. Ne ho letti un paio ( Io e il Vate, storico, e Rain Love, dolcissima storia d'amore). Sono davvero molto belli e di qualità, ma questa ovviamente è solo la mia opinione.

L'editore mi disse qualche mese fa che desidera espandere ulteriormente il suo portafoglio di autori quindi (mi rivolgo agli aspiranti scrittori), contattatelo: sul sito c'è una sezione apposta per questo.

Dalla mia esperienza personale mi sentirei di consigliarlo per una serie di motivi:


  • gli ebook possono diventare anche in Italia un mercato molto redditizio dato che sono completamente abbattuti i costi di produzione. Che cosa significa questo? Significa che l'editore è più disposto ad "investire" su un autore sconosciuto perché i costi per lui sono quasi nulli;
  • Mi sono accorta che la casa editrice fa in ogni caso editing e controlla ciò che viene mandato, dunque è una garanzia di qualità;
  • Liant si trova in un circuito molto più grande, la NTN Company, ed è una realtà italiana in crescita;
  • Lo staff della casa editrice è disponibile anche il sabato sera a rispondere agli interrogativi che vengono posti. Il rapporto è via email e si mettono a disposizione in tempi rapidissimi anche per una sciocchezza, cosa che invece, almeno nel mio caso, con l'editore del libro cartaceo è un sogno: mandargli una mail significa essere sicuri che non la leggerà e devo spesso "rincorrerlo" per avere notizie;
  • In ultimo, ogni giorno, se ci sono state vendite, vengono accreditati sul conto paypal i diritti d'autore che, in proporzione al cartaceo, sono molti di più: circa il 26% del prezzo di copertina, mentre col cartaceo sono in genere una percentuale del 6 - 8%
Queste, insomma, le considerazioni che ho potuto fare dalla mia esperienza professionale finora.Spero che qualcuno potrà farne tesoro.






mercoledì 11 luglio 2012

Attenti agli sciacalli

Spulciando qua e là on the Internet si trovano centinaia di piccole case editrici che offrono quello che, per uno sconosciuto con un romanzo nel cassetto, è il frutto proibito dell'Eden: la pubblicazione.

Troppa euforia però può portare ad un drastico risveglio: è quello che è accaduto a una giovane scrittrice di nome Luana Vitaliano che ho intervistato qualche settimana fa. La storia è per sommi capi la seguente:

una casa editrice (di cui non posso fare il nome perché me lo ha espressamente richiesto l'autrice) le ha proposto la pubblicazione promettendole la distribuzione nazionale e online, pubblicità televisive su Sky e quant'altro si possa desiderare. In cambio della pubblicazione, però, Luana ha dovuto pagare 2000 euro, il che significa autopubblicazione. Come ho spesso detto, è stupido crearsi dei pregiudizi sugli autori che scelgono di autopubblicarsi. Del resto, anche Pasolini scelse questa via per il suo esordio e la qualità della sua arte è lungi dall'essere messa in discussione.

I problemi per Luana sono sorti nel momento stesso in cui lei ha ricevuto i libri: pessima qualità del materiale utilizzato per la realizzazione dell'opera, prezzo di copertina gonfiato, nessuna correzione neppure di errori di battitura. Il libro in libreria non ci è mai arrivato, su internet è stato relegato in una nicchia a causa della mancanza assoluta di pubblicità e non si è ben capito su quale canale Sky siano stati fatti passare gli spot televisivi. In più i diritti d'autore (davvero misera cosa considerata la percentuale) non le sono stati devoluti perché non hanno raggiunto il tetto minimo stabilito dalla casa editrice.

Morale della favola? Duemila euro buttati, tanta amarezza e un cammino da ricominciare.
A questo punto gli appelli da fare (sebbene non li ami affatto) sono due:

Innanzitutto, cari scrittori esordienti APRITE GLI OCCHI perché l'albero dei quattrini non esiste e nessuno sta aspettando proprio voi per pubblicare una qualsiasi cosa. Prima di firmare un contratto fatelo leggere a un avvocato o a un notaio, insomma, qualcuno che se ne intenda.

La seconda raccomandazione è invece per i lettori: date maggiore fiducia agli esordienti perché potrebbero stupirvi. Non pensate che ciò che arriva nelle librerie sia il top. Spesso è il contrario. Spesso conta solo il potere economico delle grandi case editrici che propinano al pubblico libri indegni di questo nome.

Fatta la paternale, concludo riportando parole non mie che dovrebbero far riflettere un po' tutti:


"...in Italia i libri non si vendono, non si leggono, ma in compenso si scrivono in quantità industriale, libri che poi nessuno compra, libri che nessuno legge, neanche regalandoli, forse. Se gli scrittori italiani leggessero l'editoria italiana avrebbe risolto i suoi problemi, tutti." [Roberto Saporito]

martedì 10 luglio 2012

Dov'è finito il merito

Nelle ultime settimane si fa un gran parlare di quello che è stato definito un "fenomeno letterario": 50 sfumature di...
Non mi preme particolarmente dire la mia sulla qualità del romanzo (che ormai è assodato: è infima). Il mio interesse è mirato soprattutto ad analizzare la reazione tanto diversa del pubblico, degli scrittori e della critica.
Gli scrittori, soprattutto gli emergenti, si stanno letteralmente mordendo le mani. In effetti, sembra che vengano proprio presi per i fondelli: tanti sforzi e sacrifici, tante battaglie per cercare di pubblicare qualcosa di buono e poi arriva la porn-mummy che riempiendo centinaia di pagine con scene di sesso sadomaso (in cui la donna ci fa davvero una magra figura) non solo raggiunge il successo ma addirittura sfonda l'impossibile e quasi la incoronano regina della letteratura. Quale letteratura è tutto da vedere, ma comunque è regina.
I critici, sempre pronti a bacchettare le storielle d'amore frivole da consumare sotto l'ombrellone, stavolta sono rimasti letteralmente col mento a terra perché forse non avrebbero mai immaginato che si potesse arrivare a pubblicare una simile accozzaglia di scene erotiche, linguaggio pedestre e "scopiazzature" varie.

In barba però agli addetti al mestiere il romanzo "tira" (non me ne vogliate per il velato doppio senso). 50 sfumature di quello che è ha portato in libreria più persone di quante forse non ne abbia mai portate Orwell o Hemingway. Chi non mai avrebbe pensato di comprare un libro, è stato ben lieto di spendere soldi per questa trilogia. La cosa ha dello straordinario e dà il sentore vago e terribile di ciò che sta accadendo: la maggior parte delle persone non mette piede in libreria perché non è stimolata a farlo e forse gli scrittori non sanno più che cosa vogliono i lettori. Non che lo abbiano mai saputo ma stavolta il divario si è allargato all'inverosimile.
Il marketing inoltre ha fatto la sua lauta parte, anzi oserei dire che si è trattato più di montatura pubblicitaria che di altro. Una bolla speculativa insomma, se vogliamo mutuare il linguaggio economico. Le persone che hanno comprato il libro mi hanno spiegato così le loro ragioni: "Ero curioso, se n'è parlato tanto".
In effetti si tratta di un gioco psicologico che viene utilizzato anche in politica per i sondaggi e si chiama "Bandwagoning" (= salire sul carro del vincitore). Applicando questo modello al caso concreto, tutti gli articoli che sono stati pubblicati, le recensioni sul web, il frenetico tam tam, le tante critiche che sono state rivolte (compresa questa), sono state strumentali per la diffusione del libro. Non è stato importante che se ne parlasse in bene o in male ma che se ne parlasse. Insomma volontariamente o involontariamente, è stato fatto il gioco di chi desiderava fare una barca di soldi su questo prodotto scadente. Anche i numeri astronomici che sono stati lanciati in modo poco realistico e veritiero (5 mila copie vendute qui, 15 mila copie vendute lì, 40 mila copie piazzate in Papuasia) hanno contribuito a mettere i lettori nella condizione di dire "ma fammi vedere di che si tratta".

Dunque la curiosità per il tema e per l'operazione pubblicitaria che ci è stata ricamata sopra.
Arrivando al limite del grottesco, si è deciso addirittura di realizzare un film su questa stanza dei giochi (non dico storia perché la storia non c'è). La domanda che sorge spontanea è: avranno almeno il buon senso di vietarne la visione ai minori? Dubito.

In tutta questa bufera passeggera (perché passerà come sono passati gli altri casi letterari che alzano solo un gran polverone ma non hanno vero spessore), la confusione che sorge in chi ha un ideale diverso di letteratura è però qualcosa di tremendo. L'insegnamento del caso letterario della porn-mummy è che la letteratura vera è morta, miei cari. Lo stile, la padronanza della lingua, la poesia della creazione di una storia che lasci qualcosa al lettore è finita. La signora inglese non ha dimostrato con la sua opera che il sesso tira perché è sempre stato un argomento curiosamente bollente. No, James E.L. ha dimostrato che a nessuno frega più niente del merito, della bravura, degli ideali perché gli unici "ideali" che emergono dalla storia e che sono stati la chiave del successo sono due: i soldi, tanti, tantissimi soldi che ti consentono di vivere senza fare praticamente nulla; e il sesso, quello violento, sadomaso, eccitante e scabroso.

Alla faccia di tutti coloro che pensavano che con le parole si potesse fare qualcosina in più! Ci serva da lezione.