Ho scelto "a tatto" questo insolito titolo per introdurre la mia intervista alla scrittrice Jolanda Buccella. Capita a volte di parlare con una persona e sentire qualche sensazione sulla pelle, magari il calore di un colore forte, ad esempio. Questa impressione mi ha dato Jolanda, giovane autrice con un lungo cammino davanti ma anche molto talento, sebbene da affinare in alcune sfaccettature.
Quando stringi la mano a una persona, ti presenti dicendo:
“Piacere sono …”
Semplicemente Jolanda e quando una persona mi piace
istintivamente gli stringo in modo deciso la mano.
Che cosa ti ha portato a intraprendere la carriera di
scrittrice?
Definirmi oggi una scrittrice credo che sia una parola
grossa, sono semplicemente all’inizio di un percorso che spero mi porti ad
affermarmi in modo serio e duraturo nel panorama letterario italiano. Ho sempre amato scrivere, mi elettrizza
l’idea di creare un personaggio dal nulla e vivere la sua vita che è quasi
sempre estremamente diversa dalla mia.
Scrivere credi che sia una mestiere, una passione o un
passatempo?
Per me è innanzitutto una passione, un istinto naturale come
mangiare o dormire. Non nego che sarei felicissima se diventasse un mestiere ma
senza forzature, voglio continuare a scrivere perché lo sento dentro, perché ho
ancora qualcosa da raccontare ai lettori. Se dovessi accorgermi che sta
diventando uno sforzo, allora credo che smetterei.
Sei autrice di Fortuna, il buco delle vite. Di che parla la
tua storia?
Fortuna, il buco delle vite è la storia di una quarantenne
che per amore del suo compagno, un
affascinante medico ruandese, decide di lasciare l’Italia e di trasferirsi in
Ruanda a pochi giorni dall’inizio del genocidio dei Tutsi dell’aprile del 1994.
Il destino la porterà a vivere gli ultimi giorni della sua esistenza in una
prigione militare dove ripercorrerà il complicato cammino delle sue vite
passate. Perché Fortuna non è il suo vero nome, prima ha prestato il suo volto
e tutte le sue emozioni ad altre due donne, alla giovane e ingenua J. nata con
una malformazione alla colonna vertebrale che tutti, per ignoranza, avevano
soprannominato il buco della vita e alla fragile Piccoletta, una barbona
costretta a vagare per le strade della Capitale sopportando la fame, il freddo
e la disumanità della gente fino all’incontro decisivo con Nadir. Un uomo intelligente e sensibile che
riuscirà nel non facile compito di allontanarla dalla strada e restituirle un
posto dignitoso nella società. Tutto il resto non lo posso raccontare, per non
togliere al lettore la curiosità di acquistarlo e leggerlo.
Si tratta di un romanzo molto lungo e articolato. In quale
personaggio ti rivedi particolarmente? Quale invece è il tuo “preferito”, nel
senso che ti ci senti particolarmente
legata?
Effettivamente ho scritto molto, la protagonista della mia
storia vive tre vite e ho cercato di raccontarle tutte e tre nel miglior modo
possibile dando a ciascun personaggio
della storia un carattere ben delineato per dare modo al lettore di
giudicarlo con de criteri giusti. Il mio personaggio preferito è senza alcun
dubbio Umberta Prima Rizzutelli, la nonna paterna di Fortuna, perché è una
donna forte e indomita che dopo un matrimonio sbagliato riesce a riconquistare
la sua libertà e a portare avanti con molta soddisfazione quattro figli
pestiferi, una piantagione di pomodori e una bottega. Insomma è una donna di
successo,una donna che sa sempre esattamente ciò che vuole , la donna che
vorrei diventare anch’io. Il personaggio per il quale provo una particolare
affetto, invece, è la piccola J. perché oltre ad avere l’iniziale del mio nome
di battesimo le ho anche regalato qualche ricordo della mia bellissima
infanzia, vissuta in un piccolo paesino della provincia di Salerno insieme alla
mia meravigliosa famiglia d’origine.
Se dovessi fare una critica a te stessa come scrittrice,
quale sarebbe?
Non sono mai molto tenera nei miei confronti, penso sempre
che avrei potuto fare di meglio e non ho voluto rileggere Fortuna una volta che
è stato stampato su carta, perché sicuramente gli avrei trovato mille
imperdonabili difetti. Credo che essere autocritici sia un bene, è uno stimolo per migliorarsi continuamente.
Spero di non pronunciare mai una frase del tipo: Questo è senza alcun dubbio il
miglior romanzo della mia vita. Perché ho la sensazione che segnerebbe la fine
del mio amore per la scrittura, non esiste il romanzo perfetto, si può sempre
scrivere di meglio. Comunque la critica
meno crudele che mi faccio è che non riesco proprio ad essere sintetica.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ci sono mille progetti che vorrei realizzare in futuro, per
esempio mi piacerebbe che Fortuna diventasse un film per il grande schermo, mi
piacerebbe lavorare come editor in una casa editrice e creare una mia collana
dedicata all’amore che chiamerei “Fermina” come Fermina Daza la protagonista di
uno dei miei romanzi preferiti “L’amore ai tempi del colera” , vorrei aprire
una piccola attività commerciale a Milano, la mia città d’adozione, e dare a
molte donne che non riescono ad inserirsi nel mondo lavorativo la possibilità
di farlo, ma per il momento restano solo sogni. Intanto sto cominciando a
scrivere il mio secondo romanzo, sono soltanto all’inizio e non so dove mi porterà,
spero soltanto che riesca a coinvolgermi emotivamente quanto il primo.
Consiglieresti di intraprendere la carriera dello scrittore?
Quali suggerimenti ti senti di dare?
Si può tentare di intraprendere la carriera dello scrittore,
soltanto se alla base si ha un’ottima predisposizione per la scrittura che poi
si affina e migliora pubblicazione dopo pubblicazione, altrimenti credo che sia
inutile tentare. Ho ancora poca
esperienza in questo mondo, perciò non credo di poter dare dei grandi
suggerimenti, l’unica cosa che mi sento di dire è che se si pensa davvero di
aver scritto qualcosa di buono, allora non bisogna arrendersi nemmeno di fronte
a mille porte sbattute in faccia e tanto meno accettare di pubblicare per case
editrici a pagamento che sfruttano i sogni degli aspiranti scrittori soltanto
per arricchirsi. Invece una volta che si è riusciti a pubblicare, ci si deve
proteggere dai recensori a pagamento. Proprio l’altro giorno una gentile
signorina mi ha chiesto 25 euro per scrivere una recensione del mio romanzo,
sostenendo che leggere una storia di 592 pagine era un vero e proprio
lavoraccio!