Il mondo del Graphic Designer: due chiacchiere con Vanda Pelling
Mi sono trovata qualche tempo fa a rivolgermi ad uno studio grafico per la presentazione del mio libro. Un giorno mi sono incontrata dunque con la graphic designer che avevo scelto e mi è sbucata davanti Vanda Pelling. Ho provato da subito grande empatia con lei e credo che, dalle risposte che mi ha dato alla sua intervista, capirete perché...
Come
è nato il pensiero di diventare graphic designer?
Da piccola dicevo sempre
che da grande volevo fare la pittrice, crescendo però ho dovuto accettare il
fatto di non avere grandi doti di disegno, quindi mi piace pensare che quella
del graphic designer sia una versione “aggiornata” di quel sogno dell’infanzia.
I miei studi sono abbastanza lontani dal mondo grafico, perché vengo dal campo
umanistico, in particolare sto concludendo il percorso magistrale in Scienze
dello Spettacolo, ma in qualche modo ho sempre coltivato una passione per
l’arte visiva e ho sempre avuto una certa dote creativa, quindi quando un
giorno mi sono trovata di fronte alla locandina dell’ILAS di Napoli, ho saputo
all’istante che quel diploma sarebbe entrato nel mio curriculum.
Cosa
bisogna fare per diventare grafico?
Fare degli “studi”
adeguati, corsi, master, scuole di grafica è sicuramente la cosa migliore per
crearsi una base tecnica sulla quale poi andare a costruire il proprio stile.
Detto questo è anche vero il fatto che se si hanno delle buone idee e una certa
manualità con i software di disegno ed elaborazione grafica, avere dei titoli
diventa superfluo. Quello della grafica è il dominio dell’esperienza. Vale la
regola che più fai e più e meglio sai fare. Chiedendo a chi ne sa di più,
sempre con grande umiltà. La cosa importante che mi è sempre stata detta e che
io condivido è l’importanza del crearsi un bagaglio visivo e il famoso
“occhio”, inteso come modo di organizzare le cose visivamente. Bisogna sempre
guardare, informarsi, studiare il lavoro degli altri, riempirsi gli occhi di
arte, fotografie, design, qualsiasi cosa, e stare sempre in contatto con
ambienti creativi, in modo da immagazzinare quante più tecniche e soluzioni
possibili, essere sempre stimolato e crearsi così il bagaglio visivo da
rielaborare e da cui attingere nel creare il proprio stile. Come diceva un
certo Godard, la tecnica si apprende, le idee no. Per fare il grafico quindi,
mi sento di dire e di dirmi che servono occhio e cervello.
Insieme
a un tuo collega, stai avviando IGO studio, uno studio grafico. Quali sono i
lavori più divertenti che hai realizzato?
Una delle esperienze più
divertenti è stata sicuramente quella del Cavacon2012, nell’ambito del quale
abbiamo curato l’allestimento dello stand di un’artigiana creativa con la quale
abbiamo anche creato in collaborazione una linea personalizzata di quaderni e
agende. E’ stato divertente pensare all’allestimento dello stand, ai manifesti,
ai volantini, e cercare soluzioni originali per coinvolgere i visitatori e
attirarli allo stand; oltre che i giorni stessi della fiera nella quale abbiamo
anche “animato” la parte social con fotografie e caccia al tesoro
agguerritissima, sono stati belli anche i frenetici giorni della preparazione e
delle riunioni. Poi in generale, mi diverte molto di più progettare qualcosa
che verrà stampata piuttosto che componenti web che rimangono nel dominio
digitale. Pensare alla forma che avranno, alla componente tattile, mette in
moto tutta un’altra serie di scelte creative che rendono bello e vario questo
lavoro.
IGO studio
è una realtà molto giovane. Quali sono le difficoltà cui deve far fronte una
Start Up come la vostra?
Dando per assodate le
difficoltà economiche, che sopratutto nel momento generale che stiamo vivendo,
si fanno più pressanti, relativamente all’apertura e ai costi e al mantenimento
di un’attività regolarmente registrata, la cosa contro la quale mi ritrovo
sempre più spesso a scontrarmi è la mentalità sbagliata, ahimè, particolarmente
nel nostro sud. I clienti, le persone in generale, non danno il giusto valore
all’atto creativo, sminuendolo continuamente con lotte al ribasso. La
creatività, il lavoro intellettuale impiegato per una progettazione grafica è
sempre poco considerato rispetto ad un lavoro che invece è “fisicamente”
verificabile, come un qualsiasi produttore di oggetti materiali. Non è sempre
vero, per fortuna, ma spesso ci si ritrova a fare dei lavoro in un ambiente
ostile o comunque poco stimolante, dove il creativo non è valorizzato.
Filippica a parte, ritornando alle difficoltà economiche, spesso è anche
difficile riuscire a rientrare in iniziative o finanziamenti quali bandi o
prestiti d’onore, che finiscono per essere degli specchietti per le allodole.
Comunque non ci abbattiamo, anche perché crediamo nella possibilità del
cambiamento e sopratutto nelle tante eccellenze del sud che devono solo trovare
la giusta strada per uscire allo scoperto. Ad ogni modo io credo nelle mie
forze e sopratutto su quelle faccio affidamento.
Il
vostro mantra per i momenti difficili?
In effetti non ne abbiamo
ancora coniato uno ma mi sento di dire little by little e dividi et impera,
ovvero una
cosa per volta e divisione dei compiti.
Il
vostro mantra per i momenti belli?
Tutti al giapponese per
festeggiare!
INTERVISTA A UN GIORNALISTA
La professione del giornalista è una delle più ambite ma di sicuro non delle più facili. In Italia in modo particolare spesso c'è molta confusione su come diventare giornalisti. Alessio Viscardi, giovane giornalista napoletano, ci ha aiutato a fare chiarezza con una chiacchierata molto interessante.
Quando hai deciso di diventare giornalista e perché?
Durante gli anni dell'università pensavo di fare il regista,
oppure di lavorare nel mondo del cinema. Poco dopo la mia laurea, nel 2008,
avvenne un fatto proprio vicino casa mia, a Ponticelli (periferia est di
Napoli): il rogo dei campi Rom. Una vicenda che fu raccontata in modo confuso
dai media, dove l'ombra della speculazione edilizia venne sottaciuta e si preferì
parlare di camorra e “guerra tra poveri”. Io volevo raccontare la storia così
come l'avevo conosciuta in prima persona, così mi avvicinai al mondo del
giornalismo “vero” (fino ad allora avevo scritto principalmente di costume e
spettacolo per delle testate online).
Quale percorso formativo hai seguito?
Mi sono laureato in Scienze della Comunicazione con una tesi
in storia del cinema, ma essenzialmente sono stato autodidatta: da solo ho
imparato a fare il mestiere, a usare fotocamera e videocamera, nonché a montare
i video e programmare le pagine in html/php per realizzare i miei progetti
online.
Come si diventa giornalisti in Italia?
Dipende. Il nostro Ordinamento prevede che chi svolge la
professione debba essere iscritto all'Ordine dei Giornalisti, albo
professionisti, previo un periodo di praticantato di 18 mesi (regolarmente
retribuiti) e un esame di Stato. Chi non svolge esclusivamente questo mestiere,
può iscriversi all'albo dei pubblicisti dopo una collaborazione retribuita e
continuativa per due anni con una testata. Praticamente, invece, diventare
pubblicista viene visto come il primo passo da compiere per la professione,
così è pieno di giovani in cerca di una testata per cui “lavorare” per almeno
due anni.
Quali sono i tranelli in cui potrebbe incappare un/a
aspirante giornalista?
Il principale è lo schiavismo per due anni in attesa del
tesserino da pubblicista. Spesso i giovani accettano di lavorare gratis, e
addirittura di pagarsi da soli le ritenute d'acconto necessarie per
l'iscrizione, perché si illudono che essere pubblicisti li favorisca per
lavorare in seguito. Questo meccanismo perverso fa in modo che molte testate
-soprattutto in Campania- sopravvivano soltanto grazie ai collaboratori
esterni, che non avendo alcuna nozione di come si fa il giornalista abbassano
notevolmente la qualità media della produzione giornalistica.
Ti sei mai sentito dire “queste cose non vanno scritte”?
Peggio, un'associazione di sinistra che editava una testata
di cui ero direttore mi vietò di parlare del Movimento 5 Stelle di Beppe
Grillo. Me ne andai.
Il giornalismo d’inchiesta credi che sia obsoleto?
Certo che no, anzi. Il web offre infinite potenzialità per
fare inchiesta, un genere di cui c'è un disperato bisogno. Oggi si confonde
questo tipo di giornalismo con quello che esce dalle procure e dai tribunali,
in realtà si possono fare inchieste che anticipano l'azione giudiziaria. Io non
mi capacito, per esempio, di come sia stato possibile nel 2009 che le spiagge
del litorale domitio si riempissero di rifiuti e sostanze pericolose senza che
nessun giornalista andasse a controllare i depuratori (dai quali veniva
sversato in mare il percolato delle discariche, come in seguito scoprì la
magistratura). Io, nel mio piccolo, ho provato a realizzare due inchieste con
le modalità partecipative del web: www.cittadinigiornalisti.it/discarica-vesuvio
e www.cittadinigiornalisti.it/veleni-napoli-est
Una delle tue principali collaborazione è con il sito Fanpage. Come è nata questa idea?
L'idea nasce da uno dei pochi imprenditori puri che ci sono
in Italia, che ha meno di quarant'anni e si chiama Gianluca Cozzolino. Il suo
team che si occupa da dieci anni di comunicazione sul web capisce quello che la
maggior parte delle testate giornalistiche non ha ancora capito: l'informazione
la si fa online e la sua diffusione avviene tramite le dinamiche dei social
network. Avendo puntato per primo su queste caratteristiche, fanpage.it diventa
in meno di due anni la testata omnibus con la maggiore presenza su Facebook
(oltre 1,2 milioni di fan) e uno dei network più letti con circa 500 mila
utenti unici al giorno. A differenza delle altre imprese, che i guadagni li
dividono tra i vertici, fanpage.it investe tutto quello che ottiene
dall'adsense nella testata stessa. Così, da un anno circa, realizziamo
inchieste e reportage video, dossier e informazione multimediale.
Il sito nei mesi si è riempito di contenuti. Credi che
continuerà a crescere?
Certamente, tra poco sarà lanciata una vera piattaforma per
l'informazione partecipata nonché nuovi spazi, come il corner che abbiamo da
poco inaugurato a Napoli dove permettiamo ad artisti emergenti di esibirsi per
la platea di fan che abbiamo su Facebook. La sfida è coinvolgere i lettori nel
processo creativo del prodotto giornalistico e utilizzare a fondo le
caratteristiche real-time di Twitter.
Infine che consiglio daresti a un/a giovane giornalista?
Ho tre consigli da dare. Il primo è: capisci cosa significa
la parola “sacrificio”, perché per anni dovrai dimenticare vita privata, il
weekend a ballare in discoteca e tutte le cose che può fare chi ha un lavoro
impiegatizio. Le notizie succedono senza preavviso e vanno coperte sempre,
anche se fai inchiesta non sai mai cosa accadrà e dove ti porterà la tua pista.
Il secondo consiglio è: non farti usare. Le persone
guadagneranno col tuo lavoro a costo zero, tu ci perderai perché non imparerai
nulla e non avrai alcuna possibilità per il tuo futuro. Se hai un'idea,
realizzala per conto tuo. Apri un blog, realizza da solo le tue idee. E qui
arriviamo al terzo consiglio: aggiornati sempre, professionalizzati. Fare
informazione su Internet significa sapere come usare video, foto, html e
elementi multimediali per dare la migliore copertura all'utente. Non si può più
dire: “io so scrivere”, oggi si scrive con le immagini e online. Noi siamo
artefici di questo cambiamento e dobbiamo essere sempre all'altezza del
compito, senza dimenticare che essere giornalista significa, sempre e comunque,
trovare le notizie, verificare le fonti e fornire al lettore/utente le
informazioni di cui ha bisogno per essere un cittadino attivo nel suo contesto
democratico.
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